05 - 2020
La salite più famose del Giro d’Italia
“Io le chiamo le palestre dell’ardimento, quasi a fare il verso a Corrado Guzzanti quando realizzò i famosi sketch (all’interno del programma “Il caso Scafroglia”) chiamati “Fascisti su Marte”, poi diventati anche un film. Queste palestre dell’ardimento per me sono quelle salitine secche, se possibile dentro o vicino alle città, dove tutti i ciclisti amatoriali, volenti o nolenti, si sfidano a fine giornata, da primavera ad autunno, per preparare la sospirata uscita settimanale. Roba da 2,3,4, massimo 5 chilometri, ma con pendenze ragguardevoli, anche esagerate, che qualcuno conosce curva per curva, tornante dopo tornante, metro per metro, dove si cerca di limare il secondo o dove si vede crescere (e poi inesorabilmente calare, dopo le vacanze estive) la proprio condizione, da inizio a fine anno. Mi vengono in mente, subito, il San Luca bolognese, atto di apertura del Giro 2019, con un Primoz Roglic spaventoso, ma anche degna chiusura del Giro dell’Emilia, la salita torinese di Superga, che, da qualche anno, determina il vincitore della Milano-Torino, via Bonomea e Scala Santa a Trieste, ma anche il mitico Muro di Sormano, le varie rampe genovesi, La salita di Val Mara, in Ticino, che riporta in Italia attraverso la Val d’Intelvi, e una bella salita che facevo a Sanremo in occasione della Milano – Sanremo, quella che porta a San Romolo (anche se questa ascesa è più lunghetta e meno dura). Più che altro quest’ultima va ricordata perché fu la prima tappa del Giro del 1987, forse uno dei più belli e controversi, quello del duello interno fra Visentini e Roche, e un giorno vi racconterò la versione del mio amico Davide Boifava, che era il DS dei due alla Carrera, a quel tempo. Anche il mio Friuli è pieno di queste ‘palestre’: una di esse, la più vicina alla mia Spilimbergo, è la cosiddetta via Bolzon, da Casiacco a Vito d’Asio, una specie di ascensore fra il verde del bosco e l’asfalto sgangherato, ma certamente la più nota intorno a Spilimbergo e San Daniele del Friuli è la salita al monte di Ragogna.
Quest’anno sarebbe, è, stata inserita nel Giro d’Italia 2020, nella tappa Udine-San Daniele e si dovrà percorrere tre volte prima di affrontare lo strappo finale nella cittadina del prosciutto. Ci si corre da una vita la Coppa San Daniele per dilettanti, ma si è tenuto anche una bellissima edizione del campionato italiano nel 1991. Sul web, video a pixel giganteschi e commenti della coppia De Zan e Adorni, trovate ancora le immagini: un Gianni Bugno in versione monstre che scappa via lasciando alle sue spalle gli altri fuggitivi, Chiappucci, Chioccioli, Fondriest e Davide Cassani (chissà se il ct azzurro se la ricorda ancora, glielo devo chiedere). Dalla parte del Tagliamento la salita non è nulla di speciale, ma da Muris di Ragogna è una vera e propria scala a chiocciola; quelli della zona sono tutti lì a sfidarsi, anche senza volerlo, basta uno in bici in lontananza che forse riesci a raggiungere, se e ne metti un po’ di più, se ne hai ancora. C’è passato anche il Giro del 2018, ma quella volta era troppo lontana dal traguardo e soprattutto il traguardo si chiamava Monte Zoncolan, qualcosa che merita un discorso a parte, prossimamente.
Non si arriva certo in alto, nemmeno 500 metri, ma il panorama dal monte di Muris vale la pena, e vale anche la pena la storia del posto, al centro dell’ultima difesa sul Tagliamento, dopo la rotta di Caporetto e prima della riscossa sul Piave, nel corso della prima guerra mondiale. I soldati della brigata Bologna, fatto saltare dal comandante della 33 esima divisione, generale Carlo Sanna, il ponte sul grande fiume, si ritrovarono senza via di fuga e resistettero per una giornata intera, ricevendo l’onore della armi da parte dei tedeschi avanzanti. Si trova tutta la descrizione della battaglia nel piccolo ma prezioso museo di San Giacomo di Ragogna, poco sotto, ma salire in bici fino alla cima, dove si possono trovare ancora molte postazione belliche rimesse a nuovo, ha un sapore tutto particolare.
In fondo, il bello di andare in bici per un cicloamatore o cicloturista è anche questo: godersi il passaggio che, invece, i professionisti in gara vedono a malapena, in mezzo al caos dei tifosi, e, in certi caso, in piena trance agonistica.”
Franco Bortuzzo